venerdì 28 febbraio 2014

La Nonna di Città e la zuppa di cavolo nero che ancora avete nell'orto

Io discendo da vera stirpe cittadina, orgogliosamente cittadina! La mia famiglia ha sempre abitato in città, possibilmente in quartieri da cui si raggiungesse in bici un qualsiasi luogo fondamentale per la sopravvivenza (supermercato, scuola, palestra). Gli unici esseri viventi che mia madre tollerasse in casa (oltre a noi...), erano le piante (rigogliose, va detto a onor del vero) sul terrazzo. Stop. Una volta mio fratello impose un paio di tartarughe, dimenticandosene dopo 20 minuti (comprensibile, vista la carica emotiva che suscitano due tartarughine in una boccia di plastica). Mia madre, per mesi, le ha accudite imprecando, fino a che, pietosamente, sono passate a miglior vita. Questa è stata l'unica esperienza "animale" della mia infanzia. Direi che posso risparmiare i soldi dell'analista: secondo voi perché sono finita qui circondata dall'arca di Noè? Per la legge traslativa, dunque, i miei figli alla prima occasione di autonomia, pianteranno una tenda nel parcheggio del centro commerciale, si ingozzeranno di hamburger e patatine e si daranno alla caccia grossa in Kenya?!? Mah, vedremo...
Il rapporto dunque della Nonna di Città con il maso è sempre stato un po' conflittuale (per usare un eufemismo): la prima volta che la portammo a vedere il nostro acquisto la reazione fu...un pianto disperato! Non scherzo. Si mise a piangere. Pensando ai suoi futuri nipoti dispersi nei boschi con un bruto alle calcagna (si sa che i boschi in montagna sono zeppi di bruti), alle slavine che si sarebbero abbattute su di noi (di sicuro quando lei ci sarebbe venuta a trovare), frane, smottamenti, catastrofi geopolitiche!!E poi...il supermercato, l'ospedale, la stazione, le palestre, altri esseri umani! Lontani, irraggiungibili, se ti serve lo zucchero...va detto che il maso, al tempo, aveva un che di inquietante: circondato dal bosco incombente, l'atmosfera era decisamente dark!
Il maso selvaggio
Negli anni, per amore dei nipoti, la Nonna di Città si è adattata un po'. Ogni volta che viene, l'impatto iniziale è traumatico, anche perché, in effetti, facciamo in modo che non si abitui troppo: c'è sempre qualche novità ad attenderla. E non apro nemmeno il capitolo "regime alimentare"...la Nonna di Città è nata nel dopo-guerra, è cresciuta negli anni '50 e '60...secondo voi cosa pensa del fatto che non mangiamo carne (le proteine, le proteine!), che non beviamo latte al mattino (il calcio, il calcio!), del farsi il pane (o qualsiasi altra cosa) in casa, del mungere, del coltivare le verdure (la roba da mangiare sta nel frigo, non nel bosco!)?!? Per non parlare dei pannolini lavabili (ma come??adesso si devono lavare i ciripà come negli anni '30?), del fatto che non abbiamo la televisione (ma in questa casa un tg mai?!?)...insomma, pare che lo facciamo apposta!
In tutto questo, la figura del Bauer è quella che la inquieta di più. Ricordatevi che la Nonna di Città è toscana, e dunque chiacchiera, parecchio e volentieri. Il Bauer toscano non è: pura razza muto-trentina. Questo turba oltremodo la Nonna di Città, che ancora, dopo 14 anni, non riesce a interpretare sguardi, silenzi e ringhi.
Però sono convinta che sotto sotto si diverta. E' un po' come una vacanza "trasgressiva", un'esperienza tra i selvaggi delle Isole Vergini, il fascino del primitivo! Tanto poi si scende a valle, si prende un treno e si torna in città. E poi, secondo me, è ammirata (e stupita) dal fatto che siamo ancora tutti vivi e non palesemente denutriti (anche se...il calcio, le proteine!!).
Ma la Nonna di Città, ribadisco, è toscana. E da brava toscana (trentini di tutto il mondo, non me ne vogliate) è un'ottima cuoca (sì, anche se fa la spesa al supermercato...).
E quindi, per tutti voi che avete ancora un po' di cavolo nero toscano nell'orto, ecco la ricetta della Zuppa di fagioli e cavolo nero della Nonna di Città.
Cavolo nero biodinamico

Ingredienti:
-pane raffermo 400 gr
-fagioli cannellini secchi 300 gr
-olio evo 150 gr
-acqua 2 lt
-3 cucchiai di polpa di pomodoro
-cavolo nero un mazzo
-2 carote
-2 teste d'aglio
-1 cipolla
-2 costole sedano
-prezzemolo
-1 patata
-timo o pepolino (qualità di Timo, tranquilli)
-zenzero
Procediamo:
mettere a bagno i fagioli per 12 ore e poi lessarli. Fare un battuto di cipolla, 2 teste d'aglio, 2 costole di sedano, prezzemolo. Soffriggerlo con olio evo, aggiungere il cavolo nero tagliato a strisce, la patata, le carote. Salare e pepare e aggiungere 3 cucchiai di polpa di pomodoro e tirare a cottura con il brodo dei fagioli pian piano. A fine cottura mettere un po' di fagioli interi nelle verdure e passare gli altri e aggiungere anche questo passato di fagioli. Far bollire per gli ultimi 10 minuti, aggiungendo una spruzzata di zenzero grattugiato. Tenete presente che la zuppa dovrà essere piuttosto liquida per imbibire bene il pane. Versare il tutto in una zuppiera dove avete sistemato il pane. Servire (la tradizione vorrebbe semi-fredda) con una bella innaffiata di olio evo toscano!

sabato 22 febbraio 2014

Tranquilli, ci penso io...tanto sono a casa!

Il primo latte 2014
 Al Maso usciamo da una settimana di fuoco, che, ormai l'ho capito, segna l'inizio dell'anno produttivo (??). Si esce dal fancazzismo relativo invernale (insomma, quel periodo dove la vita agricola tutto sommato sembra una strada in discesa e quindi, per esempio, si comincia imprudentemente a scrivere un blog) e comincia lo slalom stalla-mungi-latte-fieno-formaggio-dinuovostalla-dinuovomungi- ecc.  Le capre hanno cominciato a partorire, e per me, eterna neofita (perché ci metto una vita a imparare, perché mi lancio sempre in cose nuove, perché sono superficiale), è sempre un misto di esaltazione, delusione, senso di onnipotenza, senso di inadeguatezza...da neurodeliri, più o meno.
Ma non è dei parti che volevo parlare, anche se meriterebbero un post alla fine del quale chiunque di voi abbia mai pensato di prendere una capra, si darebbe sicuramente al golf.
Ma il mio è un lavoro o no???  Ecco il perché del titolo: quella frase maledetta mi esce dalla bocca sempre, in automatico, riflesso condizionato da vago senso di colpa, in troppe occasioni (scuola, associazioni, amici, famiglia). Non mi trattengo, se c'è un'incombenza qualunque da svolgere in un gruppo, io mi sento automaticamente tutti gli occhi addosso e un fumetto al neon si accende sulle teste dei presenti "certo che potresti farlo tu, visto che SEI A CASA!!". Lo so che è un parto della mia fantasia malata, del mio femminile senso di colpa universale, è ovvio che nessuno pensa che io passi le giornate saltellando bucolica fra un dolce capretto e un cavoletto di Bruxelles con una coroncina di fiori in testa (vero che nessuno lo pensa?!?), però la mia sensazione è sempre quella che il mio, insomma, non sia un vero lavoro.
Prima di tutto, non produce praticamente alcun reddito monetario aggiuntivo: il Bauer, per fortuna, ha un lavoro vero (e ci risiamo, altra frase ricorrente), per il quale gli danno soldi veri che pagano il mutuo vero e varie altre vere verità! L'attività del Maso allo stato attuale è una partita di giro (per bene che vada): con quello che vendiamo ci ripaghiamo quello che spendiamo.
Secondo, e ancor più importante elemento, è un lavoro che per la maggior parte del tempo si svolge a casa!! E qui chiedo il conforto di tutti quelli che lavorano da casa!
Insomma, di sicuro non è che chi lavora a casa faccia di più di chi lavora fuori in termini assoluti, il problema è la non soluzione di continuità fra tutti i settori, ovvero: sveglia quota parte figli-colazione-prepara latte Capramarta-metti quota parte sul pulmino-sveglia altra quota parte figli-mettila sul pulmino-stalla-abbozzo di pulizie in casa-pranzo Bauer (torna a pranzo, sì!)- allatta capra-stalla-metti via il pranzo- merenda figlioli-stalla-taxi driver ginnastiche varie- stalla-cena-nanna-stalla!! E questa sequenza non tiene conto delle attività nel campo, al pascolo, nel bosco, con i turisti, attività che cominciano più avanti, verso maggio...
Il tutto condito da numerose e varie telefonate (che non ricevevo quando lavoravo in ufficio, nessuno ti telefona per due chiacchiere quando sei in ufficio), a volte la spesa nel mezzo, incombenze burocratiche (le svolgo io, tanto sono a casa)...
Lo so, suona lamentoso, ma non lo è. E' solo che questo fatto che non ci sia una netta distinzione fra momenti di lavoro e momenti casa fa sì che io dica la frase "non posso, sto lavorando" esattamente come Fonzie (do you remember?) diceva "ho sbagliato" (se non ve lo ricordate, guardate qui). Fa sì che quando ho fatto la carta di identità, alla domanda "professione?", io abbia dichiarato, dopo un lungo momento di imbarazzo, "casalinga". Mica c'è nulla di male, chiariamo. Ma io non faccio la casalinga. Io facevo la casalinga, nel lungo interregno fra il lavoro nell'ente pubblico e l'azienda agricola, ma ora no.
E quindi: il lavoro cos'è? E' ciò che ti dà reddito? E' ciò che ti occupa la giornata a cadenze regolari, sempre? E' l'impegno che prendi verso la società? Non lo so cos'è, ma so che non sono una ricca signora viziata con il ruzzino della campagna e so che devo imparare a dire che il mio lavoro è fare la contadina, a dirlo a me stessa con orgoglio e senza paura di suonare stonata, esagerata, esaltata.
Zappo, dunque sono!!


E dunque orgogliosamente vi presento le prime cagliate dell'anno!!




venerdì 14 febbraio 2014

Io e l'uovo, voi e l'uovo e un bel po' di galline infelici!

Enrique Cagafuego il gallo supervisiona l'harem...
Faccio subito una doverosa premessa: io le galline non le amo per nulla. Sono totalmente anarchiche, volano (volano? ma come? io avevo visto "Galline in fuga" e lì il problema era imparare a volare...com'è che le mie volano???) sempre fuori dal recinto, adorano stare ore e ore sulla mia terrazza a cacare ovunque, vanno a fare le uova in posti assurdi organizzando per noi (lo fanno apposta) cacce al tesoro infinite (la prima volta è divertente, la decima cominci a pensare che in fondo, un buon brodo di gallina...) e soprattutto...vanno a razzolare sui miei cumuli sinergici adorati e sudatissimi!
Detto tutto questo, se mi chiedete quale animale da fattoria dovrebbe ASSOLUTAMENTE ritornare ad abitare con noi, senza dubbio io vi direi: la gallina!
Sono state il primo animale (al netto di cani e gatti) che abbiamo preso al maso (ancor prima che diventassimo i potenti latifondisti che siamo adesso...) e mai mai potrei fare a meno di loro.
Perché le galline fanno le uova! E le uova sono buone, servono per fare i dolci, la pasta, le creme, l'uovo sodo!
Frescheggiare sul patio
E soprattutto, gli allevamenti industriali per la produzione di uova sono quanto di più cruento, malsanoinfame ci sia nel campo della produzione di cibo! Non che gli allevamenti industriali in genere siano esempi di fulgida umanità, ma sulle galline abbiamo esercitato forme di tortura direi "raffinate"!
 Per stomaci forti, consiglio la visione di questo filmato. E' stato girato un paio di anni fa da un gruppo animalista. E' molto ben fatto e documentato, non è ideologico, si limita a farci vedere come vengono allevate le galline a livello industriale. E non si tratta, in questo caso, di decidere di comprare biologico: comunque, anche se viene loro dato un po' più di spazio, il mangime è bio e dovrebbero (sottolineo il condizionale) stare all'aperto almeno un terzo della loro vita, è proprio l'industrializzazione della gallina che non va bene. Chiunque abbia osservato come si comporta in natura si rende conto della tortura indicibile che infliggiamo loro, per avere nei supermercati quantità inutili di uova a costi ridicoli.
E, opinione personale, trovo veramente inutili e pretestuosi i dibattiti sul valore alimentare più o meno alto delle uova bio, o del contadino, o allevate a terra rispetto a quelle super-industriali! Chissenefrega! Dovrebbe bastarci la visione di un allevamento intensivo di galline per decidere cosa comprare o dove.
E quindi, alla fine del lungo pippozzo polemico (quando parto, non mi tengo, si sa), eccovi le perle di saggezza di oggi:
-Perla n.1: se avete un giardino, mica serve un parco naturale, prendetevi un paio di galline (una sola no, che le vien la tristezza). Su internet trovate piccoli pollai domestici molto carini, da cui, mi raccomando, dovete però farle uscire ogni tanto (altrimenti siamo daccapo). Per alimentarle, a livello domestico, io consiglio un po' di mangime biologico, ma soprattutto sono un ottimo composter: i vostri avanzi le faranno felici! E la loro cacchetta sarà un ottimo compost per il vostro orto...ma che volete di più?
-Perla n.2: se proprio non ve la sentite, non avete lo spazio, sentite la Mrs Tweedy che è in voi un po' troppo invadente, allora non c'è dubbio: comprate le uova al mercato contadino più vicino! C'è sempre qualcuno che ha le uova e sono piuttosto sicura che siano uova di galline anarchiche.
-Perla n.3: e qui faccio pubblicità progresso (insomma il blog è mio e faccio pubblicità alle persone che decido io, che conosco, di cui mi fido)...le uova del Maso al Sole di Civezzano sono buone, biologiche (tendenti al biodinamico) ed è una donna che se ne occupa (Stefania)...anche qui, ma che volete di più?

(Piccola nota matematica in chiusura: non vi lamentate del prezzo un po' più alto. Siamo ragionevoli: anche se spendete 1 euro in più per una confezione di uova, sono, considerando un consumo esagerato, 4 euro in più al mese...non vorrei essere banale, ma riflettiamo a quanto siamo disposti a spendere per cose un po' meno importanti del cibo!)


martedì 11 febbraio 2014

La legge di Murphy in agricoltura: se sembra facile, tremate!

Testo sacro, consigliato!
Io sono quella dei libri, dei corsi, de "la teoria prima di tutto" e infine della pratica che non è MAI come me l'avevano raccontata al corso o come l'avevo letta sul libro. Ma MAI MAI MAI!!
Cioè, in realtà spesso la teoria è giusta, ma racconta un percorso fatto di numerosi passaggi, e sono quelli che non vengono come tu vorresti e come ti hanno insegnato i maestri! Nel mio caso, questa meravigliosa legge di Murphy si è rivelata in tutto il suo splendore nella nostra prima gestione della grassa, cioè quel fantastico fertilizzante e ammendante naturale che è la cacca delle mucche (o delle capre o degli equini) mescolato alla lettiera delle bestie (paglia, fondamentalmente).
Mentre lavoravamo per piantare le nostre prime verdure, disboscando, arando (la prima volta si deve arare per forza...poi non l'ho più fatto e vi spiegherò perché), io frequentavo un interessantissimo corso sull'agricoltura biologica e più lo frequentavo e più sentivo che mi stavo impadronendo dei segreti misterici che avrebbero fatto del mio campicello il giardino dell'Eden in Valle dei Mocheni. Tornavo a casa esaltata e impaziente, massacrando il Bauer con comizi monotematici sulle virtù del compostaggio e delle sinergie: a sentirmi parevo davvero un pozzo di scienza agricola, i segreti del bio nelle mie mani (ehm, testa?!?).
E finalmente il campo è pronto, è primavera, e si tratta di "nutrirlo". La grassa dei miei asini però non basta, è troppo fresca, di questo sono sicura, quindi mi procuro due trattori di letame da una piccola stalla vicina (quella dove compro il formaggio, e so come alimentano le mucche). Arrivano i trattori e io sono impazientissima di cominciare. E da qui il famoso primo principio dell' agricoltura: essere impazienti vi porterà SEMPRE a fare incredibili, enormi cretinate!
Insomma, mi faccio prendere (ma anche il Bauer, stavolta, eh?! Anche se a sua discolpa posso dire che non frequentava il corso), DEVO nutrire il mio campo, subito, adesso, immediatamente. Mi accorgo (lo ammetto) che il letame non è molto maturo (diciamo... fresco?) e una lucina di allarme si accende, ma io la ignoro, che vuoi che sia, dai! Il letame viene scaricato nel mezzo del campo e via di carriole. Per inciso: il campo nostro è in salita (come tutto qui, del resto... la discesa non c'è mai) e quindi immaginate la fatica immane di spandere due trattori di grassa a carriole su e giù per 1200 mt di campicello. Un massacro.Ma ahimè, mentre si compie questo massacro, il mio livello di adrenalina scende (adrenalina e fatica bestiale sono inversamente proporzionali) e mi assalgono i dubbi. E' troppo fresca? Sì, è troppo fresca, brucerà tutto...ma no, dai, va bene, mica ne metto tanta...però...e se mi brucia le piantine? Al corso l' avevano detto... insomma, mi attacco al telefono (come farei senza i miei amici consiglieri agricoltori dotati di cellulare?!? Sempre siate lodati) e mi viene detto, al di là di ogni dubbio, che DEVO LEVARE QUEL LETAME DAL CAMPO, pena la totale distruzione delle mie prime piantagioni! Panico: adesso devo dirlo al Bauer. Il Bauer che si è ciucciato i miei saccenti pippozzi su come si fa, perchè e percome!! Il Bauer sudato come un cavallo, contento perchè dopo ore di lavoro abbiamo quasi finito e può bersi la birretta...Vado in fondo al campo, il più lontana possibile, consapevole del fatto che ha una pala in mano, e gli strillo la dura e amara verità: ho sbagliato, dobbiamo levare tutto e ri-ammucchiarlo da una parte! Sono talmente abbattuta che anche lui viene mosso a pietà, ci facciamo coraggio a vicenda e ricominciamo a scarriolare (intanto i bambini sono in stato di semi-abbandono da ore...vabbè, crescono autonomi). Ad un certo punto il Bauer, esausto e stufo, esclama "cheppalle" e sbatte il badile su un cumulo di grassa, la quale (essendo fresca) schizza in alto, prendendolo in piena faccia! A quel punto sono scappata!
In conclusione:
-primo principio agricolo- abbiate pazienza, se non si può, non si può. La natura non si forza, mai!
-secondo principio agricolo- procuratevi letame di buona qualità (qualità= cosa mangiano le bestie) e MATURO. E' più facile trovarlo fresco, quindi se è di vacca, prendetelo in primavera per la primavera successiva e copritelo con paglia (puzza un pochino solo i primi giorni, poi non emana alcun odore, tranquilli). Meglio sarebbe, per chi può, avere a disposizione il letame dei propri animali. Maggiore è il controllo diretto di tutto il processo produttivo all'interno del maso, meglio è. Una volta era così, io cerco di fare così, ma questa è un'altra storia, che vi racconterò.
-terzo principio agricolo- sappiate che fare agricoltura significa aver a che fare con la cacca (tanta cacca) tutti i santi giorni, non tentate di rimuovere questo particolare se vi apprestate a fare questa scelta.
-quarto principio agricolo- sviluppate un forte senso dell' ironia e dell'autoironia (e fate in modo che anche i vostri familiari lo facciano). Aiuta molto, attraverserete momenti difficili!

sabato 8 febbraio 2014

Come un vasetto di kefir si trasforma nella Capramarta in salotto (e io non divorzio)

Il kefir di Amaltea
Chi segue il maso su facebook  si ricorderà che ero in cerca di un po' di granuletti di Kefir, dopo averne letto su il pasto nudo, la mia Bibbia on line. E dopo aver fatto un veloce calcolo della quantità di yogurt che ci spariamo in casa in 5, da quando ho ufficialmente abolito il latte al mattino (solo il sabato e domenica, con la nonna che grida al misfatto e minaccia denunce per denutrizione di minori). Ho messo qualche post qua e là, e un sacco di persone gentili mi hanno contattata da tutta Italia. Ma alla fine il Kefir l'ho trovato da Marta, una delle mie Donne in Campo (ve ne parlerò). Marta ha un piccolo allevamento di capre camosciate in quel di Dro, che si chiama Amaltea. Le sue bellissime capre le donano il latte che lei usa per fare formaggi, che vende nei mercati contadini della zona. Insomma, ieri mattina vado da Marta, intenzionata a farmi dare un po' di Kefir, armata di un vasetto di pasta madre (vedi mai che non ce l'ha), una bottiglia di sciroppo e un vasetto di marmellata di limoni hausgemacht. Dunque per l'occasione, visto che da qui mi muovo poco, e che il mio look da casa non si ispira, diciamo, a "Sex and the city", decido che mi voglio mettere il cappottino nòvo che mi ha regalato il Bauer (chiaro messaggio sulla ormai prossima deriva matrimoniale, se continuo a vestirmi così). E anche uno stivale, va', già che ci sono. Insomma, mi "tiro" un pochino...e vado da Marta. La quale, come si sa, in questo periodo è presa con i parti delle sue bimbe, quindi mi offre il caffè, ma dopo 5 minuti mi trascina nel recinto perché deve controllare chi partorisce, quando partorisce, perché partorisce...e insomma, io son fatta così, l'entusiasmo per lo stivale mi dura il giusto, ma un parto di capre!! E poi anche le mie sono (si spera) incinte, e quindi faccio pratica, e quindi entro nel recinto, mi sfilo il cappottino (a quello ci tengo, eh?!?), mi tiro su le maniche del maglioncino e via...in realtà la capretta si arrangia, io mi limito a guardare e ad aiutare Marta a portarne un paio nei box. Ma ormai son partita, non mi reggo, la bambola è in moto, il kefir per il momento dimenticato e la febbre caprina si scatena. Perché la febbre caprina è bastarda: io lo so che ne ho già 4 e sono pure troppe, che l'anno scorso è stato un disastro, che se mi vanno nel campo mi fanno il pari, che mungere, pulire, nutrire, pascolare, separare, fare il formaggio sono inutili perdite di tempo nella stagione degli ortaggi (tanto più che ne posso comprare di buonissimo qui intorno)...ma la febbre non perdona, le capre di Marta sono splendide, e lei deve dare via alcune piccole (che fra parentesi vanno allattate...ehm!). E quindi io che faccio? eh?!? Che faccio?
Ma come si fa?
Faccio che me ne carico una in macchina (insieme al Kefir), decido che si chiama Capramarta (detta Marta), e torno a casa.
Sorvolo con stile sulla reazione del Bauer (ma si sa, gli uomini a volte hanno reazioni esagerate per le cose più banali, tipo, chessò, la moglie che torna a casa con un capretto da svezzare!! E poi siamo noi le nevrotiche!).
Tutto questa vicenda mi rafforza in una convinzione che si sta facendo strada da un po' di tempo in me, in noi, confortata anche da numerose conferme di altri. Una volta imboccata all'indietro la strada della produzione del cibo dall'origine, si scatena il sapiens sapiens che abbiamo dentro, non possiamo più smettere, diventa dipendenza, fissa, paranoia, chiamatela come vi pare. Che sia il pane naturale, lo yogurt, il formaggio, gli utensili di legno, un orto...farci le cose da soli risponde ad un'esigenza atavica insopprimibile, che secondo me non sta nel settore "cultura", ma ficcata dritta dritta in quello "biologia". E la dimostrazione è:
Capramarta in salotto che mi mangia le orchidee!!

mercoledì 5 febbraio 2014

Odino esiste! Ovvero: parliamo del tempo e seppelliamo il blog...

Ma proprio del meteo intendo, quello del bar, dell'autobus, della zia con cui non sai di che altro parlare...quel tempo lì!! E già mi sono persa un bel po' di potenziali lettori...
E' che dopo la fantastica nevicata di giovedì scorso ha cominciato inesorabilmente a piovere piovere piovere, e inesorabilmente si comincia a parlare di tempo, previsioni, catastrofi e protocollo di Kyoto.
Nella mia vita precedente, il meteo aveva un posto banale nella giornata: mi alzo, guardo fuori e mi vesto di conseguenza. Facile e liscio.
Poi...il maso! E da subito ho capito che non si sarebbe più trattato di questioni tipo: metto l'ombrellino in borsa o no? Ma: riesco ad arrivare alla macchina anche senza la pala da neve o no? E già è meno liscia...
E non si parla solo di neve, ma di pioggia che eventualmente intasa le canalette e quindi ti ritrovi con un fiume dietro casa (a volte IN casa), di nebbie padane (a 1000 mt?) che metterebbero il patema a chiunque, sole che picchia e brucia le verdurine tanto amate e asseta le bestie...
E allora scatta la dipendenza da cui non c'è salvezza né redenzione: Meteotrentino!! Tutte le mattine adesso è il primo sito che controllo e l'ultimo a cui do il bacino della buonanotte. A questo si aggiunge la quotidiana chiacchierata con Annadelpulmino (sì sì, tutto attaccato) , mitica autista che da 7 anni si arrampica fin quassù per consentire ai miei figli di adempiere all'obbligo scolastico, 4 volte al giorno, e pure mi sorride, anche se sa che le tocca ancora per altri millemila!! E mi aggiorna, espertissima (in quanto anche agricoltrice, lei vera, mica come me) sull'evoluzione delle prossime 48 ore e non sbaglia un colpo. Secondo me c'ha una talpa nell'aviazione, è amica di Giuliacci, che ne so...
Insomma, adesso il meteo è fondamentale  nella mia giornata. Ma non è una mania da invasata, è una necessità. Perché se so che nevicherà tanto, non programmo impegni e metto la pala accanto alla porta, perché se so quando piove, faccio in tempo a coprire la legna rimasta scoperta, o programmo le annaffiature risparmiando un botto d'acqua. Senza aprire il capitolo FIENO, al quale dedicherò un post monografico, di sicuro! L'anno scorso ha nevicato il 23 di maggio, avevo già piantato pomodori e zucche. Li abbiamo avvolti uno a uno nei giornali e si sono salvati (le zucche ahimè...no!).
E allora capisci a fondo, davvero, cosa significava una volta avere il meteo avverso, capisci perché gli dei più famosi di Hollywood sono Odino, Zeus, Apollo: tutta gente che "gestiva" un qualche elemento. E capisci perché dalla notte dei tempi, nei bar si parla del tempo. Perché un temporale poteva essere la linea rossa fra fame e sopravvivenza, fra fienile pieno o bestie scheletriche e senza latte. E questo è stato per secoli, millenni. E adesso? Adesso forse abbiamo gettato il bambino con l'acqua sporca, perché siamo un po' più autonomi da Odino&Co, ma ci comportiamo come se Odino non esistesse e invece...Odino esiste. Ed è abbastanza incazzoso. E se anche vivete una vita in cui potete tranquillamente impipparvene di lui, ricordatevi di noi quassù!
E quindi...non sbuffate se al mercato contadino (perché voi andate tutti al farmer's market della vostra zona vero?), il vostro contadino preferito non ha le zucche o le insalate o meno uova.
Pensate a Odino!E date un bacio al contadino!!

lunedì 3 febbraio 2014

Il maso di montagna, questo sconosciuto...

Il Maso: cielo terso, cime innevate e tanta tanta salita!!
Mi è successo spesso in questi 12 anni, di dover spiegare che cosa è realmente un maso. In effetti io, essendo mio padre originario dell'Alto Adige/ Suedtirol, già sapevo cosa fosse un maso, ben prima di venirci ad abitare (ma quando mai?!?).
Il maso, in Trentino (Der Hof, in Alto Adige) è (era) la fattoria. Di solito era costituito da una casa principale e da vari annessi, in cui viveva la famiglia allargata del contadino. C'era la stalla, la porcilaia, il fienile, la busa della grassa (il buco per la cacca della vacca, insomma), il pollaio, la conigliera, un orto per la famiglia e i prati, importantissimi, per sfalciare l'erba che diventava fieno per l'inverno. Il maso era pensato per essere un'unità autosufficiente, dalla quale la famiglia traeva di che vivere...si fa per dire perché le storie di fame, miseria e freddo che ho sentito in questi anni, hanno fatto sì che io abbia smesso da mo' di aggirarmi bucolica decantando il "come si stava meglio"...
Altro mito da sfatare: in Trentino non c'è né c'è mai stato il cosiddetto "maso chiuso", ovvero quella legge per cui il maso veniva ereditato da uno solo dei figli, e gli altri o preti o suore o sposate o servi del fratello fortunato. Questo esiste solo in Alto Adige. Mi ricordo da impegnata studentessa di scienze politiche, le accese discussioni con mio padre: "è una vergogna medioevale", "che retrogradi" e via così. Adesso invece mi aggiro schiumante, invocando il maso chiuso come fosse una divinità salvifica a noi negata. Infatti uno dei problemi per gli agricoltori trentini è proprio l'infinita, esasperante parcellizzazione delle proprietà fondiarie. Roba che se becchi un terreno di 1000 mt quadrati di un solo proprietario, sei fortunato. E anche qui, cavolo: ma perchè nemmeno uno dei miei giovanili ragionamenti ideali regge alla prova della dura pratica???

Veniamo a noi. Il nostro maso era, udite udite, di un unico proprietario quando lo abbiamo comprato!! E, udite udite, un paio di terreni (piccini, eh?!) intorno erano di un altro unico proprietario...e quindi io che faccio? Prendo questo sputo di terreni e ci faccio nientepopodimeno che...UN'AZIENDA AGRICOLA! E per di più bio, e ancora peggio a 1000 metri (tanto per dire, l'anno scorso il 23 MAGGIO nevicava sui miei pomodori).
Sono superfici che, raccontate fuori dal Trentino fanno ridere (oddio, anche qui spesso sghignazzano assai), ma io tiro dritto. Per adesso, se i pochi ricavi mi ripagano le spese, mi ritengo fortunata.
E poi, la lezioncina dotta iniziale sul maso mica era casuale...l'idea di ricreare, almeno in parte, un'unità produttiva completa da cui la famiglia, la mia famiglia, tragga sostentamento, mi esalta!! Che ci posso fare?
Ma tra il dire e il fare...c'è di mezzo un blog!